Il mulino da seta alla bolognese
La culla della seta, si sa, è la Cina: le caratteristiche uniche del suo filato e la delicatezza dei suoi processi produttivi fanno da sempre della seta orientale un tessuto prezioso, destinato a veli ed abiti di pregio e a usi estremamente specializzati.
Cosa c’entra quindi Bologna con una tecnica affinata in Oriente e soprattutto perché parliamo oggi addirittura di un mulino da seta alla bolognese?
Per scoprirlo dobbiamo tornare indietro al VI secolo d.c, quando il segreto della produzione della seta venne svelato attraverso, così dice la leggenda, una vera e propria operazione di spionaggio industriale messa in atto da due monaci di religione persiana.
Inviati in Cina dall’imperatore Giustiniano e rientrati dal lungo viaggio con due canne cave contenenti i bachi, i monaci decisero di avviare in Siria il loro allevamento, svelando un segreto fino ad allora gelosamente custodito.
Furono poi le dominazioni arabe e il fiorire di relazioni commerciali con il Medio Oriente a portare l’allevamento dei bachi e la produzione della seta in Italia, facendone fiorire il mercato.
Tra i mercanti che seppero trarne profitto vi furono inizialmente quelli legati alle città marinare, come Pisa e Venezia ma l’interesse dell’entroterra non si fece attendere a lungo.
Fu grazie a Lucca – poco distante dal mare e in stretto rapporto commerciale con Roma, Genova, Modena e Bologna – che la produzione della seta arrivò e si innestò nell’economia bolognese.
Il mulino da seta alla bolognese è il più alto punto di innovazione tecnologica della storia moderna
Tra il XIII e il XIV secolo Lucca venne sconvolta da un conflitto interno tra la ricca classe mercantile, schieratasi con i Guelfi bianchi e gli artigiani che, invece, presero le parti dei Guelfi neri.
L’esito del conflitto costrinse molti artigiani a lasciare la città e a ripararsi a Bologna che con un’operazione molto lungimirante, sostenne la ripresa delle loro attività attraverso facilitazioni che permettevano l’installazione dei filatoi dentro le mura cittadine.
A Lucca infatti, era stato messo a punto un filatoio meccanico a spinta manuale il cui funzionamento era simile a una giostra: la sua rotazione permetteva il movimento su assi perpendicolari di naspi e rochelle, così da torcere il filo in più punti lungo la sua trasmissione.
Gli artigiani impiantati a Bologna portarono in città le loro innovazioni tecnologiche in forma di manufatti e di sapere tecnico. Un sapere che incontrò terreno fertile per un ulteriore sviluppo che – nell’arco di due secoli – determinò la nascita del mulino da seta alla bolognese.
Bologna: la via dell’acqua e della seta
La prima grande innovazione del mulino da seta alla bolognese fu quella dell’innesto di una ruota idraulica che sostituiva la spinta manuale.
Ciò fu possibile perché Bologna era all’epoca una vera e propria città d’acqua. Tra il XIII e il XIV secolo infatti, si era sviluppato in città un importante sistema idraulico artificiale che, sfruttando la pendenza naturale Sud-Nord del territorio e innestando una fitta rete di canali in muratura al torrente Savena prima e al fiume Reno poi, permetteva di usufruire di una fonte energetica per i diversi opifici presenti sul territorio.
Con la creazione del Canale Navile e di un porto interno alla città, Bologna fu in grado di sviluppare inoltre un efficiente e rapido sistema di comunicazione che in soli due giorni di viaggio consentiva alle sue merci e ai suoi passeggeri di raggiungere Venezia.
Un miglioramento considerevole se consideriamo che, via terra, a causa della pessima condizione delle strade allagate per lunghi periodi e alla pericolosità di alcune zone di frontiera attraversate, il viaggio poteva richiedere anche due settimane.
Ancora una volta però, dopo secoli di dominio incontrastato, lo spionaggio industriale fu la causa del crollo del mercato della seta bolognese: il segreto del mulino riuscì infatti a espandersi fuori dalle mura cittadine e a diffondersi in molte aree del nord Italia fino a raggiungere la Francia e l’Inghilterra.
Parliamo di questo e molto altro nel nostro podcast Fabbrichiamo il Futuro, fruibile su Spotify, Amazon Music, Audible, Spreaker e Apple Podcast.