I giovani e il lavoro sembrano non andare particolarmente d’accordo, almeno non in Italia.
Secondo un’indagine promossa da Aidp infatti, gli italiani tra i 26 e i 35 anni decidono di abbandonare la propria occupazione con sempre più facilità.
Le cause del fenomeno sembrano essere la ricerca di condizioni economiche più gratificanti e il desiderio di un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata.
Inoltre, il 38% dei dimissionari è spinto dalla voglia di trovare opportunità di carriera altrove.
“Non è un paese per giovani”
Nel 2022 l’Italia mantiene il primato di “no country for Young Men“, con un human capital flight altissimo.
Sebbene sia sano il desiderio di partire per accrescere il proprio bagaglio professionale è la sensazione di non poter tornare a casa ad essere sbagliata.
Quello tra i giovani e il lavoro si conferma quindi un rapporto tutt’altro che stimolante.
Molti ragazzi dichiarano infatti di sentirsi obbligati a lasciare la Penisola a causa della mancanza di una condizione lavorativa incentivante.
Le possibilità di fare carriera sono infatti ridotte e la formazione universitaria non viene valorizzata.
Le cause, ormai, le conosciamo: basse spese pubbliche sull’istruzione e investimenti minimi sulla ricerca.
La pandemia pare però aver momentaneamente bloccato la fuga di cervelli, facendo tornare a casa molti dei 250 mila giovani italiani partiti per l’estero.
Ora che la situazione sembra appianarsi gradualmente, come potremmo valorizzare e trattenere questo immenso capitale umano?
I giovani e il lavoro: entra in gioco il PNRR
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vuole colmare la disparità generazionale e quella di genere, favorendo l’aumento dell’occupazione femminile e giovanile.
Digitalizzazione, investimenti sull’innovazione e competitività sono quindi fondamentali affinché questo obiettivo venga raggiunto.
Il tasso di abbandono scolastico continua infatti a essere molto alto, dimostrando poca fiducia e un coinvolgimento minimo nelle attività formative. Anche la partecipazione dei giovani alla vita sociale del territorio in cui vivono è minima.
La domanda è quindi la seguente: come posso amare qualcosa che non conosco?
Come posso pensare di rimanere in un luogo al quale sento di non appartenere?